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  • Writer's pictureNicolò Govoni

In Siria

Mi disgusta come il mondo sta trattando la Siria.


Vorrei poter essere più misurato nelle parole, ma con quello che ho scoperto non riesco a contenere la mia indignazione. Operiamo nel cuore del conflitto da aprile. Il nostro Team sul campo ci riporta la verità dei fatti. Dopo 7 mesi, ho raggiunto il limite: sono attonito, infuriato, schifato. Non riesco più a stare zitto.


Sono passati 9 anni dall’inizio della guerra, 5 anni dalla morte di Alan Kurdi, il bambino sulla spiaggia. Molti non se lo chiedono nemmeno più, ma la guerra in Siria continua, ora, anche mentre leggi queste righe. Non si è mai fermata.


Qualche giorno fa, a Idlib, un attacco ha fatto 150 tra morti e feriti. È stato il nostro Team a riportare la notizia: senza di loro, ne saremmo completamente all’oscuro. Nessuna testata ne ha parlato. Il silenzio dei media è assordante - perché?


Parliamo sempre del COVID - e a ragione - ma nel farlo dimentichiamo le crisi umanitarie mondiali. La colpa più grande, però, è che abbiamo deciso di ignorare queste crisi: mentre il coronavirus miete vittime in tutto il mondo, milioni di persone continuano ad affrontare conflitti, carestie e genocidi in aggiunta alla pandemia.


Nella Siria Libera, dove sorge la nostra Scuola, a oggi contano 4300 casi di COVID-19. Ma la verità è che calcolare il numero esatto è impossibile. Possono permettersi solo 200 tamponi al giorno, 200 tamponi contro i 200 mila che facciamo quotidianamente in Italia. Circa il 50% dei testati è positivo, il che suggerisce un tasso di contagi molto, molto più elevato. Non hanno terapie intensive, non hanno nulla con cui proteggersi. E qualche giorno fa hanno finito le ultime scorte di tamponi a Idlib.


Stanno morendo mentre scrivo, e non solo a causa delle bombe e del virus, ma anche a causa del freddo. È inaccettabile che nel 2020 la gente possa ancora morire assiderata, ma questa è la realtà della Siria, dove su 700 campi per sfollati, solo 30 ricevono assistenza parziale dalle organizzazioni - per lo più locali.


Ed è questo il crimine più grande, quello che mi fa digrignare i denti e stringere i pugni. Ad aiutare nella Siria Libera non rimane quasi più nessuno. Nella città di Ad-Dana, il primo porto sicuro per chi fugge da Idlib, noi siamo l’unica organizzazione internazionale presente. Alcuni potrebbero pensare che sia un motivo di orgoglio per noi, ma non lo è. È un motivo di disprezzo.


Dove sono tutte le grandi organizzazioni? Dove sono le Nazioni Unite? Dove sono i governi del mondo mentre la Siria muore dopo 9 anni di guerra ininterrotta?


Ve lo dico io dove sono: sono in attesa. In attesa di capire la prossima mossa. Chiedendosi quale operazione porterà loro il maggiore beneficio. In attesa di giocare l’unico gioco per cui nutrono interesse, quello della più becera politica.


Non c’è più nessuno nella Siria Libera. La presenza delle Nazioni Unite è esigua a causa delle pressioni politiche di Russia e Cina. E le grandi organizzazioni hanno reindirizzato il budget verso il COVID, seguendo l’attenzione mediatica, seguendo il soldo.


In Siria sono rimasti solo quei 6 milioni di sfollati che, dopo aver perso tutto, il mondo ha abbandonato completamente. È tutta politica, e io mi sento profondamente disgustato.

Scrivo stanotte perché non lo sopporto più. Non sopporto che nel 2020 la gente muoia di freddo. Non sopporto che alcuni ricevano le cure migliori mentre tutti gli altri vivono senza protezione. Non sopporto che un intero popolo viva ignorato, mentre noi siamo sempre al centro dell’attenzione, sempre i protagonisti.


E qui mi rivolgo non alla gente ma alle organizzazioni, ai leader. Tornate in Siria. Portate i vostri aiuti. Non sarà facile, non sarà conveniente, ma c’è tanto bisogno, e ne vale la pena. Perché l’uomo che volge il capo è colpevole quanto quello che preme il grilletto, e solo se interveniamo ora potremo guardare le future generazioni negli occhi senza provare vergogna. “Essere umano” non è un sostantivo, è un dovere.


Sii sempre il peso che inclina il piano.

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